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Cina, niente rivalutazione yuan. Prezzi immobili fanno paura

15 Mar 2012
Giuseppe T
Macroeconomia

Gli ultimi dati di febbraio parlano per la Cina di un deficit commerciale di 31,5 miliardi di dollari USA, il più alto degli ultimi 22 anni. Ciò sarebbe dovuto all’aumento delle importazioni (+39,6%), che ha superato quello delle esportazioni (+18,4%). In particolare, avrebbe inciso negativamente sull’interscambio sia la frenata dell’export, per via della crisi globale, sia anche l’aumento del prezzo del petrolio, che ha innalzato il valore delle importazioni.

In ogni caso, alla conferenza stampa, il governatore della banca centrale Zho Xiaochuan, ha parlato di prezzi immobiliari ancora lontani dal punto di equilibrio, rinnovando l’impegno a monitorare ancora il settore, per evitare che si crei una bolla speculativa, che poi si tradurrebbe in un danno per tutta l’economia con il suo scoppio.

Si calcola, ad esempio, che il prezzo medio per metro quadrato a Pechino e Shangai sia oltre cinque mesi di stipendio di un lavoratore medio. Inoltre, pare che ci siano molte più case di quante effettivamente ce ne sia bisogno, per cui sono stati imposti limiti alla costruzione e all’acquisto di seconde e terze case.

Tuttavia, proprio l’andamento negativo di febbraio sul fronte della bilancia commerciale avrebbe convinto Pechino a non attuare alcuna ulteriore misura di rivalutazione del renmibi, che ieri è stato svalutato sul mercato dello 0,2% contro il dollaro, passando da 6,3259 a 6,3328 contro la valuta americana.

Secondo Xiaochuan, la Cina potrebbe abbassare di molto il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche, ancora al di sopra del 20%, per arrivare ai livelli degli anni Novanta, ossia al 6%, percentuale che il governatore non ritiene eccessivamente bassa, perché altre economie hanno coefficienti ancora minori.

Si calcola che lo yuan dovrebbe essere rivalutato del 40% per creare i presupposti di una crescita ordinata, oggi basata ancora eccessivamente sulle esportazioni. Di ciò, il governo non sembra volerne sentire, dopo avere timidamente rivalutato il cambio del 4,7% nel 2011.

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